domenica 13 settembre 2009

POSSIBILITA' DI TRATTAMENTO DEI TUMORI PRIMITIVI DELL'APPARATO MUSCOLO-SCHELETRICO IN ETA` PEDIATRICA

POSSIBILITA' DI TRATTAMENTO DEI TUMORI PRIMITIVI DELL'APPARATO MUSCOLO-SCHELETRICO IN ETA` PEDIATRICA

Autore: Prof. Fabio Lazzaro
Divisione Specializzata di Ortopedia Oncologica - Istituto Ortopedico Gaetano Pini. Milano.

I tumori primitivi maligni dell'osso sono da ritenersi una malattia rara, con incidenza pari allo 0,2% circa di tutti i tumori maligni e 10 nuovi casi per milione di persone ogni anno. Gli istotipi maggiormente rappresentati sono l'osteosarcoma ed il sarcoma di Ewing, i quali colpiscono particolarmente l'età infantile ed adolescenziale. Assai più rappresentate in età pediatrica sono però le lesioni benigne e similtumorali (cisti giovanili, granuloma eosinofilo, cisti ossea aneurismatica), con frequenza relativa delle forme similtumorali circa doppia nel bambino rispetto all'età adulta. L'asportazione chirurgica è il metodo di scelta per il trattamento dei tumori che coinvolgano l'apparato muscoloscheletrico, con procedure diverse che possono andare dal curettage alla resezione o amputazione a seconda della sede, dello stadio e della natura della malattia. In accordo con i criteri di Enneking et al (Clin Orthop, 1980) deve essere sottolineato come la chirurgia con margini intralesionali (curettage, asportazione non "en-bloc") possa lasciare residui macroscopici o microscopici di malattia mentre quella con margini cosiddetti marginali (asportazione in blocco attraverso la pseudocapsula o la zona reattiva) esponga a rischio di lasciare lesioni satelliti o skip metastasis (noduli neoplastici localizzati all'interno della medesima struttura ossea sede del tumore ma non contigui ad esso); margini ampi (escissione in blocco attraverso tessuto sano) non consentono di evitare lesioni tipo skip. Solo se si è radicali (escissione di tutto il compartimento interessato) non si rischia di lasciare residui locali di malattia. La stadiazione preoperatoria è dunque fondamentale per stabilire l'estensione della lesione ed i rapporti con le strutture anatomiche al fine di consentire al chirurgo di decidere quali margini è possibile ottenere ed in quale maniera. In linea generale le lesioni benigne e similtumorali dell'osso possono essere trattate adeguatamente mediante una escissione sia intralesionale (curettage) che marginale. Le forma maligne richiedono invece una escissione ampia o radicale, sia essa una amputazione o una resezione in blocco. In quelle a basso grado in sede periostea o parostale è possibile essere maggiormente conservativi, ricorrendo ad emiresezioni ossee, mentre nelle forme centrali o in quelle ad alto grado deve essere eseguita la resezione segmentaria. Se l'amputazione è stato sino a qualche decennio fa l'unico approccio possibile al trattamento delle forme maligne ad alto grado, a partire dagli anni '80 si è assistito ad un aumento delle possibilità di attuare un approccio conservativo nella maggior parte di questi pazienti, grazie all'introduzione ed ai progressi della chemioterapia pre-e postoperatoria, della radioterapia, delle tecniche di imaging radiologico, delle tecniche e dei materiali chirurgici. La fase ricostruttiva del trattamento chirurgico prevede varie possibilità; innesti ossei autoplastici, vascolarizzati e non, o omoplastici, nelle emiresezioni o resezioni segmentarie in sede non articolare, protesi modulari o composite o trapianti massivi osteorticolari nel caso si debba sacrificare l'articolazione. Possono poi essere necessari tempi chirurgici sui tessuti molli per la copertura dell'impianto, eventuali trasposizioni muscolo-tendinee per ripristinare la funzione articolare. In età pediatrica devono essere sottolineate problematiche aggiuntive rappresentate dalle ridotte dimensioni dei segmenti scheletrici da protesizzare, con conseguente difficoltà nel reperimento di componenti protesiche adeguate, e dai processi di accrescimento cui il segmento operato andrà incontro. Il coinvolgimento articolare da parte di un sarcoma dell'osso è piuttosto raro, dato che le cartilagini di accrescimento e di incrostazione possiedono una intrinseca resistenza alla espansione della malattia; è possibile comunque che strutture anatomiche legamentose (ad esempio i legamenti crociati del ginocchio) possono guidare la crescita del tumore lungo di essi. Più frequente è la contaminazione articolare da biopsia non correttamente eseguita, per una frattura patologica del segmento interessato o per invasione diretta attraverso la capsula articolare. L'immaturità scheletrica al momento dell'intervento può comportare ipometrie anche di considerevole entità le quali, in casi estremi, possono far orientare l'indicazione chirurgica verso un trattamento demolitivo piuttosto che conservativo. Non deve essere dimenticata poi l'interferenza provocata dalla radioterapia sull'accrescimento anche delle strutture muscolo-tendinee, con conseguenti retrazioni e contratture. Per fare degli esempi, nei sarcomi del cingolo pelvico, dove la crescita ossea femorale avviene per circa l'80% a livello della sua porzione prossimale, non è da escludere l'indicazione ad una emipelvectomia piuttosto che una escissione ampia, magari fatta seguire da radioterapia. Anche la crescita della tibia avviene per l'80% circa nella porzione prossimale, cosicché dalla protesizzazione del ginocchio può risultare una ipometria della gamba. L'impiego di componenti protesiche tibiali non cementate che non interferiscono con la zona metafisaria o elementi con fittone a superficie liscia consente di evitare tale evenienza. L'alternativa a tali tecniche rimane l'innesto artrodesizzante. A livello dell'arto superiore una amputazione anche molto alta e da preferirsi alla disarticolazione, poiché la crescita omerale avviene per l'80% a livello prossimale. Nelle ossa lunghe, quando possibile, la resezione intercalare con risparmio della zona di accrescimento e ricostruzione mediante innesto massivo unito al perone autologo vascolarizzato consentono di limitare le ipometrie residue. Una ulteriore possibilità ricostruttiva è fornita dall'impianto del perone autologo vascolarizzato mantenendone la epifisi prossimale con la zona di accrescimento. Tale tecnica, ancora di limitato impiego, ha mostrato promettenti risultati. Attualmente è comunque possibile valutare la possibilità di accettare una eterometria, anche di notevole entità, programmando uno o più interventi di allungamento mediante l'impiego di fissatore esterno. In conclusione è comunque doveroso segnalare che un intervento di "limb salvage" deve essere considerato ogniqualvolta ve ne siano le condizioni, consci dell'incremento del rischio di recidiva della malattia (da considerarsi elemento prognostico assolutamente sfavorevole "quoad vitam"specie nei sarcomi ad alto grado), della morbilità futura (per l'inevitabile usura dei materiali) e della non sempre migliore efficienza funzionale finale.

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